Michele Molè
Investire sul linguaggio per creare Comunità e Bellezza — l’arch. Michele Molé parla degli ultimi progetti di Nemesi
Nemesi ha avuto l’opportunità di lavorare su alcuni progetti particolarmente interessanti nel campo della progettazione di luoghi di lavoro e di ricerca. Nello specifico i due progetti che ci hanno più assorbito nel corso di questo ultimo decennio sono stati la progettazione della nuova sede Eni a San Donato Milanese e quella della società IT Tesisquare.
Queste due esperienze sono state per noi un banco di prova importante per mettere a fuoco una serie di tematiche che noi riteniamo essenziali.
CAMPUS TESISQUARE
Partiamo da quest’ultima esperienza, quella di Tesisquare. Il progetto si è sviluppato nel tempo andando ad organizzare un vero e proprio Campus tecnologico che vede attorno alla sede dell’azienda lo sviluppo di un ciclo di funzioni complementari.
Queste fanno sì che il luogo di lavoro non sia soltanto un momento di produzione ma che coinvolga una comunità vera e propria, aspetto estremamente importante – sia per noi che per il cliente. Oltre a queste attività sì è poi allargato il profilo del progetto con quello che è stato definito il DIG 421 ovverosia un luogo in grado di coinvolgere l’intelligenza del territorio, sia in termini di ideatività ma anche in termini di produttività. Si tratta quindi di uno spazio dove far germogliare idee, e soprattutto per far sì che queste idee possano concretizzarsi.
Questo esprime qualcosa di particolarmente interessante —che poi è alla base dell’Open Innovation— perché l’azienda smettere di essere qualcosa di autoriferito, qualcosa che occupa e consuma un territorio in termini di edificazione e di risorse. Al contrario qui l’azienda si apre alla comunità e quindi diventa un elemento che fa crescere l’intero territorio da cui in qualche modo dipende. E questo è qualcosa di estremamente importante.
Così il nostro progetto per Tesisquare, per questo Campus tecnologico, ha cercato di esprimere questa visione diversa e innovativa; il nostro progetto voleva essere qualcosa innanzitutto in grado di tradurre in termini di architettura —e quindi anche in termini di qualità e di linguaggio— cosa vuol dire oggi realizzare una sede di un’azienda che lavora sull’immateriale; ossia su piattaforme digitali.
La nuova sede della Tesisquare diventa quindi una sorta di infrastruttura fisica, anche e soprattutto attraverso la realizzazione delle sue facciate parametriche, i cui pannelli sembrano determinare una sorta di architettura dinamica e innovativa anche in grado di aumentare le performance energetiche dell’edificio.
Il DIG 421 nasce invece dall’espressione degli stessi pensieri ma in una maniera architettonicamente diversificata. L’idea era quella di costruire tante piccole unità che alternandosi tra pieni e vuoti, percorsi, scale va a costituire un vero e proprio borgo in cui anche fisicamente creare quella volontà di incontro, di costruzione di comunità.
E una comunità è la diversificazione dei tanti, in cui la diversità ne rimane espressione. Quindi il progetto architettonicamente si basa sulla volontà di creare una diversificazione, dove poter dire: Io lavoro in quel posto e quel posto è solo quello, ed è diverso da quello che sta accanto. In poche parole creo un legame empatico con il mio luogo di lavoro.
Questi due assi — della sede Tesisquare e del DIG 421 — vanno a costituire una serie di relazioni fisiche e territoriali da cui poi nascono tutta una serie di spazi collettivi di questo Campus. Queste sono delle vere e proprie architetture-paesaggio; cioè una sorta di colline, di movimentazione del paesaggio e del suolo, che contengono architetture: una scuola, un nido, dei luoghi per attività di fitness… Il tutto a far sì che l’esperienza di chi vive li possa diventare non più soltanto di produzione bensì di vita.
NUOVO HEADQUARTER ENI
L’esperienza invece che abbiamo sviluppato per l’Headquarter di Eni è per certi versi ovviamente diversa. Stiamo parlando innanzitutto di un complesso molto importante: 65000 metri quadrati di uffici assieme a tutta la serie di funzionalità accessorie (auditorium, mensa, atri di accesso, un piccolo museo in cui andare a raccontare la storia di Eni).
Il progetto che abbiamo sviluppato parte proprio dalla storia dell’azienda, ossia dalle esperienze innovative promosse da Mattei negli anni cinquanta e sessanta a San Donato MIlanese. In omaggio alle sperimentazioni della cultura razionalistica dell’epoca, l’imprenditore aveva promosso lo sviluppo architettonico e paesaggistico dell’area in maniera straordinariamente qualitativa e sperimentale, fondando Metanopoli. L’idea del nostro studio parte da qui, portata però ai giorni d’oggi.
In omaggio al fondatore volevamo quindi raccontare il rapporto tra paesaggio e territorio, confermandone la centralità. La risultante è un’architettura in cui quella linea di separazione tra natura e artificio non esiste più e in cui i due estremi, queste due polarità si compenetrano deformandosi a vicenda, plasmandosi.
Qui come nel progetto Tesisquare le funzioni comuni dell’Headquarter sono collocate nella parte basamentale degli edifici e diventano delle vere e proprie orografie: colline verdi e aree scavate, tese a conformare un nuovo paesaggio in cui l’architettura si fa un natura. A queste si sovrappone un’altra orografia artificiale, nascente dal loop energetico che attraverso il movimento dinamico, si concretizza nell’architettura che ospita gli edifici.
Lo stesso spazio per uffici si fa metafora di quell’indagine del paesaggio, della natura e dello scavo tipico del lavoro di Eni nel mondo. Una parte essenziale del nostro lavoro è proprio quella di capire, di esprimere l’identità dell’impresa per cui stiamo lavorando.
Ma anche in questo progetto di Eni abbiamo voluto introdurre alcuni temi tipici di Nemesi, che abbiamo visto prima per il progetto di Tesisquare; tra questi l’idea di comunità.
Queste tre torri vanno a determinare uno spazio che è una vera e propria piazza — o meglio un’alternanza di piazze e spazi pubblici, luoghi del paesaggio, specchi d’acqua, percorsi che vanno a caratterizzare lo spazio cuore del progetto.
Uno spazio di incontro, lo spazio in cui le 4000 persone che occuperanno questo complesso andranno a vivere quotidianamente, e che diventerà l’elemento stesso di appartenenza ad un luogo.
INVESTIRE SUL LINGUAGGIO
In entrambi i progetti c’è un altro aspetto essenziale che spesse volte viene disconosciuto, ossia l’investimento sul linguaggio dell’architettura.
L’investimento sulla bellezza è un aspetto essenziale perché qualifica un territorio, produce cultura, produce estetica.
Non ci dobbiamo dimenticare che un territorio come quello italiano deve gran parte della sua fortuna nel mondo (ma anche gran parte del suo fatturato) proprio alla capacità che nei secoli abbiamo avuto di urbanizzare il paesaggio e di saper costruire cultura.
In altre parole siamo riusciti a creare un unicum grazie alla nostra capacità di strutturare il territorio, il che ha fatto sì che l’Italia diventasse un paese unico nel mondo; la capacità di infrastrutturazione del paesaggio ha aumentato il valore del sito naturale, non lo ha soppresso o consumato, lo ha determinato. Purtroppo negli ultimi 50-60 ci siamo dimenticati di questa differenza, producendo periferie anonime, luoghi senza qualità, deturpando la gran parte dei siti realizzando località prive di qualsiasi qualità o di qualsiasi idea di urbanità.
Quindi l’investimento sul linguaggio e sulla qualità è un elemento primario perché oggi possiamo ricominciare a ristrutturare il nostro approccio al territorio, non in termini di consumo ma in termini di qualificazione e di costruzione di valore. Di valore paesistico, di valore architettonico, di valore urbano e di valore economico.
Per questa ragione noi a qui a studio non amiamo parlare di architetture che cercano di minimizzare il proprio impatto, tutto l’opposto: abbiamo immaginato e ideato quest’idea del progetto a impatto positivo. Non quindi a impatto zero, o a impatto minimo, ma positivo!
Proprio perché l’investimento sull’urbanizzazione del territorio in maniera intelligente è un’investimento sul linguaggio dell’architettura, sulla sua capacità di costruire luogo – dove per luogo intendo genius loci cioè la capacità di dare un’identità, la capacità di costruire spazi dove una comunità si possa riconoscere.
Quando abbiamo progettato il Padiglione Italia abbiamo immaginato innanzitutto un edificio osmotico. Certamente osmotico nella capacità di saper dialogare con l’ambiente da un punto di vista energetico: un edificio capace di respirare e scambiare risorse, così come un albero. Osmotico però anche dal punto di vista della capacità di determinare luogo, cioè di andare a innescare una relazione forte tra interno ed esterno, tra luoghi, piazze, percorsi. Tra luoghi in cui la gente è invitata a stare, a passare, a muoversi, a partecipare, a essere parte.
Questo ha che fare anche con qualcosa dal mio punto di vista molto importante: la funzione primaria dell’arte e dell’architettura di costruire i codici o le lenti attraverso cui costruire la percezione del nostro mondo contemporaneo. E questo è un elemento essenziale, è alla base della cultura, è la base dei codici che ci permettono di avere un rapporto con il mondo, con l’esterno.
Certamente un progetto a impatto positivo oggi non può non porsi il tema fondamentale della sostenibilità: massimizzare le performance energetiche dell’edificio, selezionare materiali con cicli di vita sempre meno impattanti ecc…
Il delta energetico tra ciò che si consuma e ciò che si produce deve essere il più favorevole possibile, e sono molte le certificazioni ambientali oggi esistenti. Tra tutte ne cito solo una, perché credo che rappresenti in maniera molto concreta quello che sto dicendo: la certificazione Well. Questa infatti non va a certificare soltanto le performance dell’edificio ma la sua capacità di costruire un’esperienza sociale, di vita per la comunità. Tutti i nostri progetti che ho citato puntano a ricevere questa certificazione una volta completati.
PROGETTO A IMPATTO + OGGI
Il PNNR rappresenta un’opportunità straordinaria perché dà la possibilità di poter intervenire in maniera strutturale sulla riorganizzazione del sistema.
L’idea da porre al centro, dal nostro punto di vista, è il progetto a impatto positivo. Ossia costruire oggi delle architetture osmotiche, delle architetture che non occupano più un territorio ma che fanno territorio, delle architetture che non inquinano più ma cercano di avere un rapporto equilibrato con il luogo in cui nascono, delle architetture che non vengono costruite attraverso materiali che hanno determinano il deperimento del territorio estrattivo. Oggi questo ciclo virtuoso deve essere la base di qualunque trasformazione di cui si voglia parlare.
Vorrei però specificare che, come ho detto prima, la sostenibilità energetica è un elemento necessario ma non sufficiente. Potrei fare una lista lunghissima di architetture che vengono decantante come edifici sostenibili ma che non sono edifici a impatto positivo. Cioè non riescono a creare luogo, non riescono a creare identità, non riescono a creare comunità, non esprimono un senso estetico del tempo e del luogo a cui appartengo.
Noi speriamo che oggi gli investimenti che verranno fatti verranno fatti selezionando quei progetti e quelle architetture che hanno questo tipo di ambizione. Dobbiamo decidere di investire in questo, pensando che l’investimento nella qualità oggi non è un costo, è una straordinaria opportunità in termini culturali, in termini sociali ed economici. Quindi la nostra speranza è che al PNRR venga utilizzato andando a selezionare investimenti che vanno in questa direzione; se invece il problema sarà solo quello di spendere dei soldi, sarà soltanto una grande occasione persa.